giovedì 17 febbraio 2022

Vola solo chi osa farlo

 


Spianata di Campiglia, SR 68, 100km/h. E' la strada che va da casa a Volterra, dove sono diretto stamani. E' uno dei percorsi con i panorami più belli del nostro Pianeta, di cui dovremmo ritenerci fortunati. Si insinua dapprima nelle precise campagne Colligiane, poi, a forza di saliscendi e di curve spettacolari, arriva dritto nelle crete Volterrane, passa attraverso le mura della città, e ci conduce direttamente nella storia delle nostre splendide Terre, a partire dagli Etruschi, passando per il borgo di Picchena, per la Torre di Montemiccioli, e per altre amenità che magari sulle guide Lonely Planet non saranno mai inserite.
Ho sempre amato Volterra, proprio per la sua contaminazione di civiltà, antiche e moderne che lì si sono letteralmente ammassate, nella semplicità di una città di 15.000 abitanti circa abbarbicata in vetta a una collina che, oggi, è meta di turisti da tutte le parti del Mondo. Ecco, Volterra è anticonformista.
Noi, passanti distratti e abitanti pressoché locali, quasi non ci accorgiamo di quello che siamo stati e di ciò che rappresenta la storia passata, e il nostro vissuto, ma dovremmo farlo, perché tutto si ripete sempre e comunque.
La strada per arrivarci, in realtà, per chi ha  intrapreso sfide automobilistiche personali (e magari è anche un tantino mentalmente instabile, direi) è quanto di più esaltante esista. Dal 1999 la chiamo "test track" ed è lì che vado a provare le macchine che compro, e che mi danno da testare, o semplicemente, quando sono giù di morale, a sfogare i miei primordiali istinti umani al volante delle mie, sempre veloci, vetture animate.
Sì, perché loro, per me, hanno un'anima e tante storie da raccontare. L'Enterprise, tuttavia, è bene se rimane in silenzio, di recente, ma questa è un'altra storia.
Dopo i tornanti di Mugnano, da farsi rigorosamente in seconda marcia con le manuali e in terza con i cambi a 8 marce, c'è una "esse" che porta a un dosso in curva, che a sua volta immette in un rettilineo che così rettilineo proprio non è.
Questo dosso l'ho sempre chiamato "Salto del Monte", dalla località, appunto, ove si trova.
E' sempre stata una sfida con tutte le vetture che ho avuto, far staccare le ruote ed atterrare sul rettilineo successivo, vivendo la sensazione di stare in aria con oggetti che, per loro natura, devono stare a terra e starci parecchio appiccicati, pena conseguenze disastrose.
Insomma, il "salto del Monte" è un bel salto da rally di quelli di razza, che mai ha visto alcuna competizione, salvo arrancanti e sputacchianti trasferimenti della Mille Miglia, passarci sopra.
E' un salto difficile, perché se sbagli la traiettoria rischi di uscire a destra, finire nel campo sottostante e terminare inghiottito dal buio che avvolge la zona.
Sono riuscito a farlo con tutte le macchine che ho avuto sotto mano, a partire dalla Punto Cabrio nel 1999, passando per la Lancia Ypsilon versione arrabbiata, per la Mito che montava quel motorone che poi hanno mutuato le Cinquecentinedimerda Abarth (che a me, nonostante le disprezzi a parole, garbano parecchio), passando per il Duetto, fedele vettura da gara storica, con me da quasi dieci anni ormai, fino alla BalenaBlu, la mia prima BMW che andava molto bene e non si ribellava ai miei comandi.
Hanno saltato tutte, più o meno a lungo, atterrando più o meno sbilanciate, più o meno nella zanella di destra, ogni tanto manifestandomi il disappunto dello schema sospensivo con qualche tonfo sordo in atterraggio. In ogni caso tutte hanno fatto il "Salto del Monte" almeno una volta nella loro carriera.
Tutte tranne lei: l'Enterprise.
Eh già, perché il mio ultimo "Furgone della ditta" rivestito da vettura col muso incazzato (definizione calzante data da un omino sul lungomare di Marciana Marina a novembre 2020), con motore potentissimo e sospensioni MSport, non ha mai fatto il "Salto del Monte".
Forse perché lei, da buona Governante Teutonica qual è, ha fatto dell'eccessiva razionalità la sua bandiera di vita.
C'ho provato qualche volta, a dire il vero non impegnandomi più di tanto, utilizzando tutte le traiettorie possibili, da che è con me, ma niente, lei non si scompone, non si stacca, tira fuori la sua razionalità e ti porta a destinazione in modo terribilmente preciso e veloce.
Forse lei non lo dice, ma ha davvero paura, in quei decimi di secondo in cui si trova in aria, di rimanere priva del controllo per un attimo, e di non sapere dove terminerà la sua corsa. Sicuramente, è così.
Un guidatore normale non si porrebbe nemmeno questo problema.
Mi ero rassegnato, a dire il vero, però a me fa arrabbiare l'eccessiva razionalità nelle cose. E non è da me vivere rassegnato.
Oggi, quindi, voglio provarci ancora, sospinto dalla forza che mi  ha dato quanto accaduto nella mia vita recente. E allora, dopo il tornante di Mugnano, affondo il piede destro, imponendo alla mia navicella spaziale di tenere fissa la quinta marcia.
Nel preciso istante in cui la coda esce dalla curva e si riallinea sotto le mie mani esperte, inizio a pensare alla lista del "salti nel buio" che ho fatto nella vita.
Non sono tanti, ma sono stati tutti belli, in un emozionante crogiolo di sensazioni che mai avevo provato. Ed è questa il primo aspetto bello dei salti: non avere, per un attimo, il controllo e non sapere, per un attimo, come andrà a finire. Anche se, il più delle volte, ho avuto ragione, anche quando il burrone sotto di me pareva profondo e le conseguenze di una scelta maturata sembravano sin troppo difficili.
Il secondo aspetto bello dei salti è la strada che c'è dopo, che è sicuramente diversa, ai nostri occhi, da quella che hai sinora. Magari nei fatti non lo è, ma dopo il salto maturiamo una percezione diversa delle cose, e del controllo di noi stessi.
Tocco il paddle di destra, l'Enterprise mette la sesta marcia, 120 km/h. Imposto la "esse", e inizio a vedere il dosso a qualche centinaio di metri da qui.
E se ci fosse una macchina? E se sbagliassi la traiettoria?  Mi ripeto che devo stare tranquillo, perché finirebbe tutto troppo presto anche per accorgersene.
Arrivo in prossimità del dosso, con leggera correzione dello sterzo a sinistra. Inizio a pensare che l'Enterprise non si staccherà mai da terra.
E invece mi sorprende, ancora una volta, contro ogni pronostico (sì è un "Against all odds" di Phil Collins tradotto letteralmente), e prende il volo. Adesso è priva di controllo, perché le ruote non toccano terra.
In questi attimi, sono in balìa di una scelta che ho fatto prima, che è divenuta irreversibile. Quando si salta, la prima cosa che ci si domanda è: "Ho fatto bene ad abbandonare la terra che conoscevo per volare?". Viene la tentazione di guardarsi indietro, di pensare di aver fatto una delle più grosse stronzate, inutili, della vita che hai trascorso sinora.
Ma ormai, non c'è modo di fermarsi.
Mi preparo all'impatto, presumendo che sarà fortissimo.
L'Enterprise tocca terra. Lo fa in modo sorprendentemente morbido, come se atterrasse sul velluto, come se una persona che mi ama mi avesse ripreso tra le sue braccia per attutire il colpo, rischiando a sua volta di farsi male, e prosegue, dritta, come se niente fosse accaduto la sua corsa verso Volterra.
E' bello trovare qualcuno che ti accoglie tra le sue braccia quando salti. Nessuno mi ha mai raccattato in fondo ai salti della vita, costringendomi ad essere forte. Col tempo, però, le ossa rotte si sono rimarginate ed ho ripreso a camminare.
Eppure, io lo farei per chi merita, garantendo un atterraggio di velluto.
Piazzo in faccia il mio stupido sorriso soddisfatto, per l'ennesima cagata che ho combinato.
A testimonianza che, nella vita, non dovrebbero esistere né certezze né schemi fissi, e che Vola solo chi Osa farlo, anche a bordo di oggetti che, per loro natura, non ne sarebbero capaci.

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