venerdì 26 aprile 2013

Tentativi


SS2 Cassia, 100km/h. Come dice Federico, questa macchina ha un bel rombo. L'ho sempre saputo, e apprezzo il complimento. Grande motore, grandi freni. La strada la conosco come le mie tasche, memore di tante galoppate molto divertenti notturne.
Gli spiego come, se le do "'invito", l'assetto da me rifatto la fa scodare come quasi una trazione posteriore.
Siamo amici, noi. Fratelli. Stanchi e lavoratori.
Lui ha qualcosa che non dice, che io so bene. Una mancanza negli occhi, il difetto di qualcuno accanto, a mascherare quello che non ha e che vorrebbe, con la sua sicurezza ostentata esattametne come la mia, ma del tutto inesistente. Forse peggio di me.

Flashback. Attimi. Parole dure. Nel frattempo, il viaggio prosegue e la lontananza si fa spazio in me. Fisica e forse anche morale. Anzi, più morale che fisica a dire il vero. 
Un buon profumo di cibo, una bella vista, un bel panorama si fan spazio all'esterno, sulla strada di Chiusure, delle crete senesi, della Fiera del carciofo. Ed ho tanta fame, non solo di cibo. Ho fame di abbracci che risolvono problemi in un secondo, di sorrisi, di cose semplici e non complicate, di non avere paura pure io di dire qualcosa, di non ricevere muri e brutte espressioni, di sentirmi quello che è davvero al centro.  
Forse non sarà mai così, non lo sarà nella congiunzione astrale che porta a vedere solo il negativo in una persona che ha innumerevoli lati buoni, e per converso mi porta a vedere solo il buono in chi manifesta quelli cattivi.

Ci riflettevo giorni fa, quando ero a Firenze. 
Guardavo il locale dove io ed un amico mangiavamo. La primavera tentava disperatamente di farsi spazio tra le autostrade chiuse quella sera, tra i percorsi alternativi, tra le mezz'ore di pioggia incessanti e battenti, tra la gente che a Firenze urla, tra le persone lontane che sono diventate vicinissime e che non vedo comunque, tra la malinconia che questa stagione promette.
Lo vedo: avrei voluto condividere qualcosa con qualcuno ben preciso, quella ventata di pazzia che sarebbe il partire da Colle senza remore né paure per visitare un posto nuovo, senza dover chiedere a mamma, babbo, nonna. Avrei voluto condividere quella vicinanza che puoi avere anche nel più stupido ed anonimo martedì sera d'inverno quando sei giù, e non puoi avere perché ti ostini a correre per troppi km, innamorato perso di chissà cosa, chissà chi, con chissà quali risultati.
Manca, forse, quella fisica vicinanza che ti porta intenderti con uno sguardo, e a non cercare sempre il pelo nell'uovo per mettere in croce una persona, senza che alle volte se lo meriti. 
Il conto di questa mia mania, di queste pantomime, di queste ruote di pavone assurde lo pago, sempre più salato, con me stesso. Ogni giorno. Oggi di più, forse.

Ma tu chi sei, Andrea? Questa fu una domanda che mi venne posta quando ancora avevo nella mia vita un cattivo odore di freni surriscaldati, parecchi soldi di meno ma qualche sogno da coltivare, qualche speranza e forse qualche energia in più di adesso.
Quella persona non mi parla quasi più oggi, ma è un'altra storia. Terra bruciata con ragione totale agli altri. Modalità mostro accesa. 
Quella domanda la ignorai, come molte altre cose in quel periodo. Se non l'avessi messa nel cantone, forse oggi una risposta mi sarebbe tornata utile.
Per carità, a parte rari casi, la gestisco la situazione. 
Non è detto che non soffra, però. Non voglio far preoccupare nessuno, nemmeno chi si ingegna nel guardare dentro dove io non voglio e ho la parte piàù recondita dei miei imbarazzanti segreti.
Non guardateci, per favore, voi che siete fuori e tanto volete gettare solo benzine ad alto numero di ottani sul fuoco acceso e farmi bruciare più forte.
Le voci del cuore io le ascolto, in modo netto e preciso. L'ingratitudine forse mi circonda, ma è tipica di questi tempi moderni in cui i valori vanno ai maiali feroci, in cui la gente guarda Uomini e Donne e non legge più Dante, Petrarca e il Guinizzelli. 

La strada corre. E con essa i pensieri del mio addormentato navigatore. Il movimento della sua testa china sembra quasi assecondare le traiettorie dell'ultimo tratto di superstrada.
La misuca è quella dei Police, Every little thing she does is magic. E' mia, solo mia. Come questo dolore, sempre più lancinante quanto invisibile, che mi porto dentro ogni giorno di più, e per quanto io possa tentare di mettere tutto a posto dentro e fuori di me ricevo solo muri in cambio.
La canzone è bella, anzi, lo sarebbe. 
Sarebbe una bella dichiarazione d'amore, ogni minuscola cosa che fa lei è magica. Lo sarebbe, ancora una volta. O forse lo sarebbe per la prima volta, che poi forse sarebbe la stessa cosa. 
La gestisco la situazione. Non traspare molto all'osservatore distratto. Anzi, forse niente.  
La gestisco da fuori, non da dentro. Ma lascio perdere, in fondo questo dolore che non viene visto da chi non mi guarda negli occhi è utile per capire ancora una volta.
Forse è colpa mia e basta. Forse resto indietro. Mi fa male vedere persone molto meno brillanti di me, che si accontentano e sono felici. Ho il brutto vizio, tuttavia, di non accontentarmi. E un brutto carattere.
Non piango più, ho esaurito ogni lacrima per questa mia surreale situazione. Ma il dolore fa sempre più male nelle notti insonni, nei giorni stanchi e dal sapore amaro. Però la gestisco, tranquillamente.

Via Nova, via di casa. Non meglio precisata velocità.
Come ho detto all'inizio, invito la Mito in ingresso curva. Lei scoda. Riprendo il sovrasterzo come se fosse tutto calcolato, da buon pilota quale sono.
Mi compiaccio per l'assetto perfetto. 
Da solo. 
Almeno in questa cosa, del tutto inutile, sono riuscito.
Ma io, alla fine, chi sono?


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