giovedì 30 giugno 2022

Buon vento.


 

Motonave Stelio Montomoli (ex Aethalia II), 16 nodi.
E' una splendida mattina di giugno, e la pace per gli altri regna sovrana. Non regna per me, ma questa è una costante ormai da 41 anni, e da che se n'è andato il sorriso più bello del mondo dalla mia vita, la parola "pace" è ancora più lontana e vivo praticamente in un perenne stato di crisi.
Ho parcheggiato l'Enterprise nella pancia della nave che la BalenaBlu, sua degnissima antesignana, ha frequentato a lungo,  in un periodo in cui era freddo, le strade erano vuote, era pericoloso andare in giro, ero ferito e i miei sogni erano ancora immaturi. 
Al di fuori dei finestrini di questa stupenda ammiraglia della Toremar, che dal 1991 al 2016 si chiamava Aethalia, c'è una visione consueta, fatta di isole, isolotti, di mare, di vento, e del canale di Piombino.
Il "caffè disgustoso della Toremar" è sempre lì, col suo retrogusto amaro, a ricordarci che in periodi "normali" i nostri parametri sono meno permissivi rispetto a quando c'è crisi.
Sì, perché il "caffè disgustoso della Toremar" nei mesi di marzo e aprile 2020, con l'Italia chiusa, il cuore che batteva forte e la macchina lasciata a Piombino, con tutti i bar chiusi, era un'oasi di pace.
Salii proprio su Aethalia e vidi il bar aperto, nel mese di marzo 2020, e quel gesto normale di bere quel caffè disgustoso che ho sempre evitato sembrava un'oasi per un camminatore assetato nel deserto.
Il caffè allo stesso tempo più disgustoso e più buono che avessi mai bevuto era lì, nella tazzina dei primi anni '80 con disegnata in blu la silhouette di altre due grandi navi tra loro gemelle, Marmorica e Oglasa, dopo i controlli alla scala della nave, che mi forniva, per l'ora di navigazione, una parvenza di normalità.
Ma questa è un'altra storia.
Comunque, oggi è crisi, nel senso che non è facile fare tabula rasa di qualcosa, ma soprattutto di qualcuno che credevi essere "la persona giusta". Probabilmente vale lo stesso anche per lei, e non dovrebbe essere di mia competenza.
Ma lascio andare, perché ho la forza di farlo, forte degli insegnamenti derivanti dalla fine del mio matrimonio, e soprattutto della fine della storia con Giulia.
Il silenzio di chi aveva preso il mio cuore come mai nessuno prima in questo stupendo (adesso per gli altri) 2022 regna sovrano, dopo l'epilogo dettato delle sue paure, dall'impossibilità di incrinare la sua vita programmata per qualcosa o qualcuno per cui, probabilmente, sarebbe valsa la pena di lottare. Sì, per una volta sono arrogante e penso che valga la pena di lottare per me, perché eravamo "quelli giusti".
Qualcuno, forse, in futuro apprezzerà, oppure qualcuno che apprezza già oggi si ricrederà nelle sue non decisioni. Forse.
Mi ripeto che questa è la vita e che forse non ho il privilegio di trovare pace, come ho detto sopra.
Salire su questa nave è l'estremo tentativo di cercare un'ora di fiato non troncato, di silenzio ricercato da anni. Ma non ce la fa nemmeno lei.
Aethalia (per me ha ancora questo nome, memore di una battaglia combattuta dai Ferajesi che non avevano un cazzo da fare nell'anno 2016) continua il suo incedere maestoso (e lento, più lento di un tempo per il caro carburante), mentre nelle mie orecchie risuona "The Downeaster Alexa"  di Billy Joel.
La mia psicologa mi dice di togliere la musica dalle orecchie ed ascoltare il sottofondo, ma non ce la faccio ancora. Ci provo, ma ancora non ci riesco. Forse, camminando nel tappeto dei giorni che ho davanti, ce la farò senza sentirmi obbligato a girarmi.
Stelio Montomoli, ex Aethalia. Suona male.
Alle navi non si dovrebbe mai cambiare nome, e non solo per una storia di scaramanzia. Le navi hanno un’anima, ti guardano e ti parlano. Hanno un loro profumo che non è solo quello del carburante bruciato ma anche del legno e degli ottoni lucidati.
E' vero, hanno un'anima pure loro. Chissà quante persone protagoniste degli amori dai due lati del Canale di Piombino hai portato, negli anni.
Qualche anno fa ci vedevamo più spesso, io e la mia nave preferita.
Proprio nel mio 2020, quello fatto di una separazione brutta davvero, di chiusure imposte dal COVID (di cui al disgustoso caffè precedentemente menzionato), ero il protagonista di un grande amore (per me, per l'altra parte no) dall'altro lato del canale di Piombino, iniziato sulle note dei Clash e finito, in quell'8 novembre, in un doloroso viaggio di ritorno sulle note di "Sandy" di Fabio Liberatori (colonna sonora di un momento ben preciso del film "Acqua e Sapone", che mi fece pensare che il nostro amore fosse davvero impossibile come quello di Sandy e Rolando), mentre l'allora nuovissima Enterprise, che aveva una settimana di vita, affrontava timidamente le Curve di Montieri, in un pomeriggio in cui si correva tutti a casa per il coprifuoco imminente.
Sulla carta non finì lì, ma dentro di noi lo sapevamo che eravamo al capolinea già da quella mattina a Pomonte. 
Da lì, mesi di silenzio, di controllo perduto, di notti insonni, di pianti repressi, di psicologhe che cercavano in tutti i modi di farmi rientrare sui binari del "normale modo di pensare", e io che invece mi svegliavo la mattina con l'ansia, dopo il poco sonno, e pensavo a Giulia, che era lì, così forte da farmi finire in ospedale per un attacco di panico.
E' il mio errore: ci credo, sempre, più del dovuto. E' anche questo il caso.
Dovrei lasciare fare  al tempo, e non mi riesce.
E' passato un anno e mezzo. Io e Giulia siamo Colleghi e abbiamo un ottimo rapporto complice, tale da far incazzare tutte le donne che mi hanno ronzato intorno in questo periodo. Inclusa, anche se non lo dice, colei che ha reso magica la prima metà del mio 2022.
Giulia ha finalmente letto la lettera che le consegnai nel gennaio 2021, e che il Collega di studio fece finire in un cestino, dando spazio a una storia nuova, e poco "sentita".
Questa nave mi porta da lei, e mi piace il titolo diverso che abbiamo messo alle nostre vite dopo che ad aprile di quest'anno abbiamo fatto, finalmente, pace. Lei è sempre la stessa, con tutto il carico annesso alla sua persona di cose che mi fanno incazzare.
E ora siamo Colleghi, appunto. E non penso a noi come niente altro.
In ogni caso, normalmente tutte le volte che prendo questa nave, mi passa l'inquietudine.
Ma stavolta, come ho scritto sopra, no.
Da poco ho chiuso la storia con la persona che credevo quella giusta per me, poco prima. Ho fatto quello che dovevo fare perché tanto i miei desideri pià profondi non sarebbero mai stati soddisfatti. Lo credevo davvero che fosse quella giusta, ma le sue responsabilità e i suoi obblighi l'hanno condannata a non trovare pace, mai. Un po' come me.
Una condanna simile a quella che da solo io mi infliggo.
E appunto, dopo l'epilogo della nostra bella storia segreta, che avevo creduto fosse il porto sicuro, la pace finalmente trovata in 41 anni di guerre, in primis contro me stesso, rimane un sapore amaro in bocca, come quello lasciato dal caffè della Toremar.
Ci avevo visto il presente e il futuro. Ci avevo visto tante cose belle da fare insieme. Ci avevo visto la felicità. Anzi, l'avevo proprio vissuta.
Aethalia, nel suo pragmatismo spicciolo tipico degli elbani,  mi ribadisce che ce l'avevo visto solo io, aggiungendoci un bel "de", mentre passa accanto all'Isola dei Topi nel suo abitudinario viaggio che si sciroppa 5 volte al giorno. 
Come vorrei tornare ad essere un passeggero distratto di questa nave, senza i pensieri che mi fanno solo male, senza la smorfia che in questi giorni assume brutalmente il mio viso senza che io me ne accorga. E' vero che le navi ti parlano, e ti raccontano tutto quello che hanno vissuto, più delle macchine.
E se ci salissi tu, probabilmente ti farebbe mettere a sedere e ti racconterebbe di un Andrea bambino che ci sale con i genitori, all'epoca più giovani di lui adesso, con i capelli a forma di scodella in testa, che ogni anno cresceva sempre di più.
Ti racconterebbe il primo passaggio con la Punto Cabrio, e le ansie di una persona che si è sempre sentita inadeguata e che per contrastare questa caratteristica ostenta la sicurezza più falsa della Terra.
Ti racconterebbe il primo amore elbano nel 2006, che tanto amore non era, ma era l'incarnazione dell'aforisma "la meta è il viaggio". Ti racconterebbe dell'intensissimo 2020, delle estati da bagnino, del sorriso che ci siamo scambiati quando nel 2022 ci sono salito, pensando proprio a te.
Ti racconterebbe, probabilmente, insieme al Duetto, di quanto questa nave sia partita carica di speranze e arrivata, purtroppo, vuota a destinazione.
Sì, perché alle navi non si augura mai "Buon viaggio", ma "Buon vento". Le si lasciano andare con l'augurio nato quando le navi non andavano a gasolio, ma a vela, ed era l'augurio più bello.
Il vento ti sospinge, se è un vento buono, ma se è cattivo alza il mare e crea delle mareggiate paurose.
E allora sono qui, su questa nave, amore mio, ad augurarti buon vento, nonostante tu abbia scelto di non scegliere il vento buono, ma la bonaccia, che non spinge da nessuna parte.
Ti meriti che il vento buono ti porti nella destinazione che vuoi, con l'equipaggio che vuoi.
Molto spesso il vento inverte la rotta e ti porta dove non credevi.
Ti meriti quello che non hai avuto sinora, ovvero l'amore vero che ho la presunzione di averti insegnato. Spero che il vento buono te lo porti.
L'Enterprise viene vomitata a Portoferraio e sembra salutare Aethalia, con la complicità di chi, probabilmente, conosce il bambino scemo che è ora alla guida, ma lo prende così com'è.
C'è vento, là fuori. Guardo la nave che da cui sono sceso.
E ti auguro buon vento, amore mio. Sempre e per sempre. 


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